Nella plumbea fine di ottobre che si prospetta, tra una paura di un lockdown e le solite tambureggianti notizie di riaumento dei contagi, mancava solo l’ennesima polemica che vede coinvolto niente di meno che il Papa, osteggiato – e al contempo osannato dalla controparte – per aver aperto ai matrimoni gay. Messa così, la notizia sarebbe incredibile, con una apertura che sarebbe straordinariamente in controtendenza con anni di dottrina cattolica legata alla procreazione e al concetto di famiglia sul modello della Sacra Famiglia.

Naturalmente tutte le agenzie di stampa si sono affrettate a titolare “Papa Francesco apre alle unioni civili omosessuali” o altre cose simili e la classe politica, tendenzialmente di centrosinistra e alla spasmodica ricerca di qualcosa o qualcuno che parli un linguaggio gay-friendly così da poterlo riprendere e parlare dell’ennesima vittoria di un qualcosa che, se solo si vivesse in un Paese con un contesto politico normale, non costituirebbe nemmeno un argomento di discussione ma che invece per alcuni si trasforma in unica ragione di vita.

La fanfara arcobaleno è partita senza posa, con personaggi in vista come Zan, la Cirinnà ed Emma Bonino pronti a sventolare un’improbabile bandiera vaticana per ringraziare un Papa che avrebbe così legittimato le loro proposte, tra l’altro spesso categoricamente affossate dai fatti, basti pensare a quanti hanno effettivamente proceduto all’unione civile tramite la Legge Cirinnà. Eppure nessuno si è preso la briga di ascoltare cosa effettivamente abbia detto il Papa.

Nell’intervista rilasciata da Papa Francesco all’interno del docufilm “Francesco”, diretto dal regista russo Evgeny Afineevsky, si leggono frasi che dimostrano un’apertura nei confronti di diritti delle persone omosessuali, ma nei fatti non si starebbe parlando di una vera e propria “unione civile”. “La persona omosessuale ha diritto a stare in famiglia, a essere riconosciuto come figlio da parte dei genitori. Non si può privare nessuno della propria famiglia e non si può rendere a nessuno la vita impossibile per via della propria omosessualità” sono le parole che il Santo Padre ha espresso. Poi si è lanciato oltre dicendo che servirebbe una “legge di convivenza civile”.

Niente matrimonio, niente “Love wins”, fine della fanfara. Poi, che per “legge di convivenza civile” il Papa intendesse – come d’altronde ha sempre detto, anche quando era ancora un Vescovo in Argentina – una legge che consenta di poter destinare i propri beni alla persona con cui si passa la propria vita, consentendo a questa persona di prestare assistenza in ospedale in caso di malattia, è appurato. E non si tratterebbe nemmeno di qualcosa in aperto contrasto con la dottrina cattolica, visto che a guidare il cattolico dovrebbero esserci valore come amore e compassione che non sembrano disattesi da una visione delle “unioni civili” in questo senso.

Diverso, invece, è fare una legge per scimmiottare il matrimonio, talvolta celebrando la “funzione” in modo sobrio, altre volte sfociando nella carnevalata più totale. Diverso ancora è fare una legge che, equiparando le unioni civili alle famiglie tradizionali dal punto di vista legale, permette adozioni o – peggio ancora – di ricorrere all’utero in affitto per far nascere un bambino che altrimenti non sarebbe mai nato per ovvi motivi biologici.

Matrimonio è un termine che ha una storia. Da sempre, nella storia dell’umanità e non solo della Chiesa, viene celebrato tra un uomo e una donna. È una cosa che non si può cambiare. È la natura delle cose, è così. Chiamiamole unioni civili. Non scherziamo con la verità” scrisse Francesco in “Dio è un poeta”, chiarendo ancora una volta che il trattare gli omosessuali come figli di Dio – e ci mancherebbe pure che nel 2020 non fosse così – non consiste nel metterli sullo stesso piano di chi forma una famiglia. L’omosessuale ha diritto a una famiglia nel senso che ha diritto a essere considerato parte della sua famiglia di origine e nessuno può essere ripudiato o cacciato dal suo nucleo familiare per avere gusti sessuali diversi dai suoi genitori.

Spiace, infine, da laici e da liberali – come nel caso di chi scrive – che ancora una volta una certa parte politica aspetti che sia qualche personaggio pubblico distante anni luce dal loro mondo a giustificare le loro idee e le loro proposte. Cercare qualcuno che faccia l’endorsement a un’idea, anche se sarebbe più corretto chiamarla ideologia, vuol dire che l’idea, di per sé, è fallace.

 

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