Quando ti ho conosciuto credevo che poco sarebbe cambiato nella mia vita. Invece è cambiato tutto, radicalmente. Da quel momento, ogni giorno, vengo a lezione da te. Mi hai aperto un mondo, mi hai mostrato le idee nella loro vera luce, in una accezione più autentica, più aderente, più vera.  In questi anni mi hai insegnato cosa sia l’io assoluto di Fichte, quale sia realmente il processo della conoscenza, quale il movimento di appropriazione del mondo e ho capito come sia spontaneo e forte questo sentimento che ci muove. Poi mi hai spiegato il senso dell’essere per la morte di cui parla Heidegger, il si che spersonalizza, l’idea di autenticità, la deiezione, e mi hai mostrato con i fatti cosa significhino l’alienazione e la macchinazione, e la loro potenza distruttrice. E poi l’umano, troppo umano e tutte le sostituzioni, gli inganni, le storture che il pensiero strumentale ci impone. Tu non lo conosci, forse, tutto questo, ma lo esperisci e lo testimoni, essendone immune, senza bisogno di alcun vaccino che non sia la tua natura.

Perché vedi, Valerio, il tuo arrivo mi ha esposto ad un pericolo che già presentivo e che temevo. Quando ci nasce un figlio siamo di fronte ad una svolta: siamo tentati dall’inazione, dalla fermata, dalla fine di ciò che eravamo prima. Di fronte all’unica azione che improvvisamente ci sembra sensata ed importante, la Cura per lui, tutto il resto perde di peso, sembra stolto, sembra un gioco di ruolo dal quale possiamo uscire senza pena, occupati dall’opera più grande. Questa inattività che ci si palesa è rafforzata anche dalla bellezza, passiva, della contemplazione di ciò che in te avviene quasi del tutto da sé. La potenza estetica dello spettacolo del tuo formarti è superiore a tutto e la rappresentazione nel palcoscenico del mondo è gratis. Qui si dà l’eterna contrapposizione tra azione e riflessione. Con te mi sono sentito come svuotato e poi riempito di un nuovo contenuto. Ma questo pericolo poi passa. Almeno per me è passato, perché sopraggiunge la consapevolezza che tu vivrai in questo tempo e in questo mondo e allora tutte le occupazioni, le passioni, gli sforzi, nelle attività di ricerca, della politica, della comunicazione, risultano rinvigorite da una nuova e più potente motivazione. Sono gettato di nuovo nel mondo con una nuova cura, e ciò che prima forse era incrostato di utopia e depotenziato da una di-sperazione crescente, vive una nuova fase di spinta.

E volevo dirti che il mondo e i suoi attori non si dividono in destra e sinistra, progresso e tradizione, credenza e ateismo e simili dicotomie. Gli uomini si dividono in quelli che possono scorgere la bellezza in ciò che è e quelli che non sanno farlo e agognano un acritico cambiamento. Io so farlo e mi preme che tu non perda a causa nostra i fiumi e i barbi, la voglia di opporsi al precostituito, la capacità di entusiasmarsi, il fascino delle differenze, di tutte le differenze, e poi i muri vecchi, i giochi semplici, gli autoscontri e i libri di carta, i martelli i chiodi e il legno, gli acquerelli gli stornelli  i girelli… Perché tutto questo è da tempo sotto attacco e sta per capitolare, messo al muro dalla globalizzazione, messo alla gogna dal pensiero unico, in una corsa sfrenata verso l’entropia sociale e culturale.  Io non lo nascondo, io desidero che tu sia me, che sia come me, ma solo per superarmi, per passare oltre. E già vedo che sei già oltre e capisco Rousseau e l’Emilio, capisco il giardino nicciano dell’Aurora e capisco che nella storia, che l’uomo sia stato un greco nella polis, un vandalo in Africa o un pellerossa d’America, un senatore romano, un giacobino, non importa poi molto. Se questo uomo ha avuto un figlio, nel senso che se n’è preso cura, questo di per sé ci avvicina tutti e distrugge ogni storicismo, sciogliendo la storia puntuale nel destino della nostra specie come una tra le tante. Mentre guardo te penso a Giacomo e Monaldo ma al contempo a Renato e sua madre Pina, i nostri sapienti gatti. Quindi mentre sembra a tutti, quando passeggiamo, che sia io a guidare te, voglio che si sappia che è esattamente il contrario, mio maestro.

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