Uno dei fondamenti base del canto lirico è la respirazione. Lasciamo, qui di seguito, spiegare al soprano belcantista Astrea Amaduzzi il corretto ed efficace funzionamento del fiato impiegato quando si canta liricamente (a differenza di come si usa nel comune parlato):
La respirazione, assieme alla totale flessibilità laringea e al giusto punto di risonanza, è la base della migliore tecnica vocale.
Teorici più o meno famosi complicano moltissimo la faccenda, in realtà la maggior parte degli Allievi ha grandissimi problemi nell’emissione per grande pigrizia respiratoria e sovraccarico di tensione a livello di muscoli del collo e spalle.
La respirazione nel Canto Lirico è impegnativa, ma non così tanto complicata!
I suoi principali punti di appoggio sono il diaframma, i muscoli intercostali e i muscoli addominali. Usati bene e con la corretta coordinazione di assoluta libertà laringea, questi tre punti speciali diventano un prezioso capitale per l’arte del Canto.
Analizzo ora semplicemente il meccanismo respiratorio sulla base di mia diretta esperienza, sia come artista che come docente.
1) I polmoni hanno una forma non omogenea e sono assai più capienti alla base (in basso)
2) Il diaframma è posto alla base dei polmoni (in basso)
3) I muscoli intercostali che aiutano direttamente la respirazione sono soprattutto quelli delle costole mobili (basse)
4) I muscoli di meraviglioso sostegno e controllo del fiato sono quelli addominali (ancora una volta posti dalla pancia in giù, cioè in basso)
Deduzione logica: LA RESPIRAZIONE NEL CANTO LIRICO NON PUÒ E NON DEVE ESSERE SOLO ALTA o APICALE, perchè la sede di miglior efficienza respiratoria tra muscoli e capienza è tutta verso il basso.
Come si respira al meglio nel Canto Lirico?
– Inspirazione: il diaframma si abbassa, i muscoli intercostali, le costole e l’addome si dilatano, aiutate dal meraviglioso mantice dei muscoli addominali. In questa fase ogni bravo Cantante rilassa completamente gola e spalle, prepara nella propria mente l’intonazione del suono vocale lasciando totalmente libera la laringe, e predispone lievemente il palato molle a sollevarsi un po’ come quando si sbadiglia.
– Espirazione: il diaframma risale, i muscoli intercostali e l’addome si restringono e i muscoli addominali regolano la velocità di emissione del fiato, sostenendo la pressione attraverso l’uso del sapiente appoggio su questi punti muscolari. In questa fase il Cantante tiene completamente rilassate spalle e gola, lascia la laringe totalmente libera di muoversi e scivolare e aiuta con l’uso sapiente di labbra lingua e palato molle sia la proiezione dei suoni (affettuosamente chiamata in gergo “maschera”) che una buona pronuncia del testo.
In un mondo pieno di teorici di tecniche del canto nuove o arcaiche sarebbe forse il caso di fermarsi a riflettere e iniziare a dare ascolto sia a grandi artisti del passato che ad artisti capaci di dimostrare di saper oggi veramente cantare.
Andreste mai a lezione di violino o pianoforte da gente che non è capace di suonare veramente bene il proprio strumento? Certamente no. E allora perchè chi non è capace di cantare, o piccoli o grandi teorici dovrebbero chiamarsi “maestro”? Se la risposta è NO, leggete dunque nell’appendice all’articolo LA RESPIRAZIONE NEL CANTO LIRICO [ –> http://belcantoitaliano.blogspot.com/2014/11/la-respirazione-nel-canto-lirico.html ] alcune interessantissime testimonianze di grandi cantanti, il cui valore è testimoniato, tra l’altro da registrazioni immortali.
“E qui sorge un altro contrasto: quello delle opinioni, tra loro avverse, degli scienziati della voce. Ma il cantore deve prescindere da elucubrazioni analitiche e applicare l’opinione che nasce dall’esperienza viva del canto e dalle urgenze di problemi che talvolta si presentano improvvisi alla ribalta, nel pieno svolgimento dell’azione scenica e del canto.” – (Giacomo Lauri – Volpi, “Misteri della voce umana” Ed. Dall’Oglio – pag 77- 78)
Forse nessuno, in un intero secolo, tra i cantanti storici l’ha descritta così chiaramente come ha fatto il tenore di Lanuvio (Roma), allievo del celebre baritono del secondo ‘800 Antonio Cotogni, uno dei cantanti maggiormente apprezzato da Rossini e Verdi.
Vediamo come descrive il suo modo pratico di respirare, appoggiare-sostenere, metodo assolutamente italiano ed impiegato da moltissimi grandi cantanti del Novecento.
LAURI-VOLPI SUL FUNZIONAMENTO PRATICO DELLA RESPIRAZIONE DIAFRAMMATICO-COSTALE:
«Il corpo vitale della voce è l’aria. Senz’aria non si respira; senza respiro non si canta. E non si vive. (…) Saper respirare è saper cantare.
Va notato che vari trattati di fonetica e di pedagogia vocale non s’accordano “sul metodo di respirazione”. (…) Tutti si diffondono sui particolari fisici e fisiologici e sulle nomenclature tecniche degli organi della respirazione, della fonazione e delle risonanze. Ma non v’è chi dia all’artista l’idea sintetica e costruttiva della tecnica vocale. (pag. 73)
Nella “respirazione artistica”, il soffio è regolato dalla volontà ed è basato sopra il movimento diaframmatico-costale inferiore della respirazione automatica, allo stato di quiete, con la differenza che la “cintura” formata dai vari muscoli dell’addome deve mantenere la sua funzione per la durata del duplice atto respiratorio in virtù del freno inspiratorio nell’allontanamento volitivo e nel riavvicinamento cosciente della parete addominale, dalla colonna e verso la colonna vertebrale.
Nell’inspirazione il diaframma si contrae e, abbassandosi, comprime i visceri addominali, mentre la cavità toracica aumenta di ampiezza; nell’espirazione, il diaframma si rilascia e i visceri addominali, compressi dalla parete addominale, lo sospingono verso l’alto, mentre diminuisce la capacità toracica. (pag. 76)
Il “freno espiratorio costale” è di gran lunga più efficiente ed efficace del “freno inspiratorio diaframmatico”, anch’esso fondamentale. Tra freno diaframmatico e freno della cintura muscolare toracico-addominale si stabilisce il “conflitto dei contrari”. (…) Dunque, diaframma e cintura muscolare, in lotta fra loro e insieme associati dall’armonia delle facoltà superiori dell’anima, determinano il flusso aereo, parte del quale sarà tramutato in voce laringea e in risonanza di voce melodica.
E qui sorge un altro contrasto: quello delle opinioni, tra loro avverse, degli scienziati della voce. Ma il cantore deve prescindere da elucubrazioni analitiche e applicare l’opinione che nasce dall’esperienza viva del canto e dalle urgenze di problemi che talvolta si presentano improvvisi alla ribalta, nel pieno svolgimento dell’azione scenica e del canto.» (pagg. 77-78) [da: Giacomo Lauri-Volpi – “Misteri della voce umana”, 1957]
Qui Lauri-Volpi, uno dei più grandi cantanti oltre che uno dei più grandi esperti di vocalità e tecnica vocale nell’intero Novecento, spiega cosa accade quando il cantante lirico sa respirare bene ed usa il fiato nel modo giusto, sia per quanto riguarda la presa del fiato, in fase inspiratoria, che per quanto riguarda il relativo controllo di questo fiato incamerato, in fase espiratoria. Se si respira “alto” la corretta respirazione non avverrà (e allora si alzeranno le spalle per errore), se si respira forzando i muscoli della parete addominale come quando si cerca di forzare l’ernia (tipica di certi “affondisti”) anche in questo caso la corretta respirazione verrà compromessa. Respirare “basso” e “profondo” non impedisce che si alzi un poco anche il torace, specialmente per le donne (cosa del tutto diversa dalle spalle che si alzano nei principianti) – Respirare “basso” e “profondo” non significa nemmeno e non ha mai significato che non si debbano usare i muscoli addominali in modo impegnato per permettere che l’espirazione risulti lenta e costante fino all’esaurimento del fiato.
Quando parla del “conflitto dei contrari”, Volpi sta in sostanza citando il Lamperti riferendosi a questo passo tratto dal “A Treatise on the Art of Singing” di Francesco Lamperti – London, 1877 :
“To sustain a given note the air should be expelled slowly; to attain this end, the respiratory (inspiratory) muscles, by continuing their action, strive to retain air in the lungs, and oppose their action to that of the expiratory muscles, which is called LOTTA VOCALE, or vocal struggle. On the retention of this equilibrium depends the just emission of the voice, and by which means of it alone can true expression be given to the sound produced.”
Vediamo ora più nel dettaglio cosa insegna Volpi per le due fasi ‘inspiratoria’ ed ‘espiratoria’.
– Quantità giusta d’aria necessariamente maggiore per il canto lirico rispetto al parlato (I) :
«L’ “aria” respirabile ordinaria per respiro automatico, nello stato di quiete, è valutata dai fisiologi a “cinquecento cmc.”. La capacità massima di inspirazione, nell’atto volitivo, è misurata da un’inspirazione di “tremilacinquecento cmc.” d’aria. La differenza tra le due cifre stabilisce la quantità d’aria “complementare” e di “riserva” che si può inspirare. È noto che tra respiro e respiro, nello stato di riposo, v’è una “pausa” ristoratrice che risponde al ritmo respiratorio. L’aria di riserva, così importante nel canto, non viene espulsa nella respirazione automatica. Nella respirazione cantata la pausa di riposo è minima e l’espirazione è composta d’aria “complementare”, “ordinaria” e di “riserva”, a differenza della respirazione parlata che è di solito formata da poca aria “ordinaria” e di “riserva”. Quest’ultima, nella respirazione cantata, deve sostenere, in certi casi, quasi tutto il peso respiratorio. Talché, ancor più che nel parlare, va utilizzato nel canto il massimo d’aria di riserva, a condizione, però, che alla fine della frase musicale e al termine dell’espirazione rimanga tesaurizzata nel mantice tanta riserva di quell’aria quanta sarebbe necessaria per trattenere il respiro ancora per un certo tempo.» (pag. 78) [da: Giacomo Lauri-Volpi – “Misteri della voce umana”, 1957]
Qui Volpi sta chiaramente dicendo che la respirazione per il canto lirico differisce da quella ordinaria del parlato, soprattutto in una persona comune che non ha mai studiato canto. Certamente non si deve respirare prendendo una quantità d’aria talmente eccessiva da bloccare rigidamente il cantante, ma il concetto espresso è che non basta prendere poca aria nella maggioranza dei momenti, all’interno di una performance vocale in concerto o in un’opera: i 500 cmc citati non sono molto spesso sufficienti per cantare, a meno che non si debba cantare qualcosa di così corto come ad es. il “Sì” sulla nota mi centrale, all’inizio dell’aria di Mimì, “Sì. Mi chiamano Mimì”, ma subito dopo bisogna già respirare di più. Come si deve prendere molto più fiato quando si devono sostenere note molto lunghe, acuti e lunghe sequenze di colorature-agilità vocali !!!
Ma andiamo avanti. Proseguiamo con l’interessante lettura.
– Quantità giusta d’aria necessariamente maggiore per il canto lirico rispetto al parlato (II) :
«Confermato che la respirazione deve rimanere del tipo “diaframmatico-costale”, l’immissione dell’aria, nel canto, avverrà superficialmente in base ad un’inspirazione d’aria “ordinaria”. In altre parole, l’artista cosciente e sicuro di sé canterà respirando naturalmente, regolandosi secondo le esigenze vitali dell’ossigenarsi e quelle artistiche della frase cantata e da cantarsi dopo la pausa. (…) In séguito, esperienza e maturità insegneranno la respirazione spontanea e rapida, divenuta un riflesso automatico condizionato, acquisito nella ginnastica abituale. È lo stesso fenomeno che si riscontra nell’automatica digitazione del pianista.
Riepilogando, si può stabilire che, trovato il punto d’appoggio, il suono melodico s’alimenta della corrente d’aria che risulta, abitualmente, da “millecinquecento a duemila cmc.” d’aria durante la inspirazione cantata. (pag. 79)
Nel canto tutto è un “gioco” d’aria nella pressione infraglottica verso le corde vocali in tensione e nella penetrazione verso le cavità cervicali. (pag. 89)
Quanto all’apertura della cavità orale nel canto, va ricordato ch’essa è l’effetto, non la causa, di una giusta emissione, quando il diaframma proietta in direzione delle cavità superiori la colonna d’aria necessaria e sufficiente. È intuitivo che la sola aria ordinaria del respiro vitale, in stato di quiete e di silenzio, non basterebbe a un atto respiratorio di una certa energia. Per la quale ragione, tanto nel respirare parlando che nel respirare cantando, s’immette quella certa quantità d’aria di compenso o di supplemento a sostegno della parole e del suono. Flusso aereo, altezza e densità del suono non debbono nuocere alla libera articolazione e pronuncia della parola. Suono e parola restano paralleli, servendo ciascuno l’espressione dell’idea, in quanto il canto è “fenomeno psichico”, intenzionale, oltre che essere “fenomeno fisico”.» (pag. 80) [da: Giacomo Lauri-Volpi – “Misteri della voce umana”, 1957]
In questa seconda parte del discorso, Volpi sta genericamente stabilendo che l’aria da respirare oscilli nel bravo grande cantante tra 1500 e 2000 cmc; è chiaro che quando si canta non si pensa a quanti cmc prendere, il punto di Volpi è che il quantitativo d’aria usato nel parlato, che di solito quando si parla è molto di meno, non basta per cantare liricamente, poiché quando si parla :
– 1) le parole dette durano in media ognuna meno di un secondo, sono brevissime quindi,
– 2) si tende a spezzare le parole, non a legare tutte le parole assieme come quando si esegue un “cantabile” belliniano o pucciniano,
– 3) e l’estensione della voce usata è limitata a pochissime frequenze centrali, mentre nel cantato si deve cantare su almeno due ottave di estensione e anche di più, se si arriva a note davvero gravi e sopracute.
Egli menziona anche l’importanza di collegare il fiato con le cavità cervicali, cosa che rimarcherà ancora, più tardi negli anni, in questa intervista storica:
“…io ho pensato sempre che la respirazione è diaframmatico-costale, perché noi abbiamo due casse armoniche, questa e questa, ma se noi ci limitiamo solamente alla cassa toracica e dimentichiamo la cassa cranica non troviamo gli armonici, è come un pianoforte, se non si mette il pedale quel cassone lì a che serve…”
(da un’intervista di Rodolfo Celletti e Giorgio Gualerzi al tenore Giacomo Lauri-Volpi nell’estate del 1976 presso il Teatro di Busseto)
Per far funzionare appieno questa respirazione diaframmatica, è necessario, come dice Volpi, usare la “cintura” formata dai vari muscoli dell’addome per frenare lentamente e costantemente la risalita del diaframma che naturalmente salirebbe velocemente tutto in una volta, con conseguente risultato che sarebbe finita l’aria in un secondo solo. L’uso di questo freno addominale deriva chiaramente dalla scuola cotognana, come si comprende da questa testimonianza della Olivero che parlando di Ricci pianista per anni del grande Cotogni, baritono e famoso maestro di canto a Santa Cecilia in Roma, spiega che per sostenere in modo efficace il fiato-suono in fase espiratoria si devono impiegare i muscoli addominali.
Ecco la breve testimonianza di Magda Olivero su Cotogni e l’importanza di saper respirare e di sostenere con i muscoli addominali nel canto lirico :
«Cotogni faceva scuola e Ricci era al pianoforte, quindi poi Ricci ha preso anche l’eredità proprio dal maestro, quindi ha assimilato tutte le lezioni di questo grande maestro e diceva Ragazzi, ricordatevi: “Saper respirare e saper sostenere, si sa cantare!”. Sembra facile, eh!?! Però, quando si riesce, a farlo, si capisce appunto la bellezza anche di questa cosa, perché allora si canta senza il pensiero di dire: ‘Uh, che fatica!’ No, non è una fatica, perché i muscoli addominali sostengono il diaframma e il diaframma sostiene questa colonna di fiato che va e cammina, cammina, cammina, tranquillamente e non si fa fatica. Di Ricci io ho sempre un ricordo colmo di gratitudine, perché quello che ho imparato da Ricci non si dimentica.(…) Tanti dicono: ‘Saper respirare e sostenere non è mica una cosa così difficile’. E invece è così difficile.» [da : Marcello Giordani and Magda Olivero: A Conversation About Opera (Part Two) Milano, Italy – June 2010]
Se non si usa questo tipo di respirazione, adatta alle ardue richieste del repertorio lirico da parte dei compositori, sarà inevitabile che si canti DI GOLA e si perderà dopo non molti anni l’uso della voce, in parte o quasi totalmente. L’importanza di spostare l’attenzione dalla gola al diaframma viene infatti rimarcata persino da Gigli, del quale spesso si è erratamente detto fosse un cantante vissuto solo su doti naturali, che al termine di Cavalleria e Pagliacci e moltissimi bis a fine recita, nel 1953 a Genova, rispondeva così alle domande poste da alcuni studenti di canto:
Concludiamo dicendo che quando si unisce al fiato il suono, per cantare “sul fiato”, caratteristica propriamente belcantistica, bisogna che anche la posizione vocale sia giusta e questa sarà sempre diversa, tra un suono a “piena voce”, uno a “mezza voce” ed uno “filato” ed anche a seconda dell’altezza della nota da cantare. Fiato profondo e perfetto sostegno respiratorio non creano da soli, slegati dal suono, il canto “sul fiato”; solo se anche la posizione vocale, in tutti i casi richiesti dal compositore, sarà perfetta si potrà avere come risultato il canto “sul fiato”, altrimenti andrà a finire IN GOLA, e sarà un suono o schiacciato o intubato, che produrrà un canto spinto e urlato, e perderà pertanto la caratteristica di risultare Bel Canto.
– Per maggiori approfondimenti sul tema si legga il seguente articolo del blog di Belcanto Italiano: <
http://belcantoitaliano.blogspot.com/2019/03/belcanto-italiano-lautentico-bel-canto.html