“Io penso che le persone sono un po’ stanche di questa situazione e vorrebbero alla fine venirne fuori. Anche se qualcuno morirà pazienza.”
Questa è la frase che è costata le dimissioni di Domenico Guzzini dalla Presidenza di Confindustria Macerata. Una frase detta in un’occasione ufficiale e che per questo ha causato una vera a propria alzata di scudi e lo scatenarsi sull’imprenditore recanatese raffiche di fuoco e non solo di quello nemico, a dimostrazione che, sempre più spesso, l’ipocrisia è preferita alla verità.
Perché su queste parole non deve essere fatto tanto un discorso estetico, o ideologico. Non serve a nulla infatti continuare ad alimentare l’invenzione marxista della divisione in classi di oppressi e oppressori o, in chiave contemporanea, tra “buoni” (i responsabili) e i “cattivi” (gli irresponsabili, o peggio i cosiddetti negazionisti).
Quindi, per quanto queste parole possano risultare dure, indigeste e tremendamente ciniche, e io sono il primo a dire che lo siano, penso che non ci si debba fossilizzare su quella che è stata ovviamente un’ infelice esternazione. Penso che invece bisognerebbe indagare su cosa abbia spinto un professionista dell’imprenditoria, un uomo la cui famiglia ha dato lavoro a generazioni di recanatesi, marchigiani e non solo, che ha ricoperto e ricopre egregiamente il suo ruolo interno a Confindustria, a scivolare sulle parole in modo così grossolano. Forse non sarà che il mondo dell’imprenditoria, della libera iniziativa, in cui di diritto vanno contemplate anche le Partite Iva, non ce la fa più? Forse non sarà che il settore che economicamente rappresenta la struttura ossea del Paese, ovvero la piccola e media impresa, le aziende nate e cresciute sul territorio, che proprio al territorio tanto hanno dato, spesso molto di più di quanto mai abbiano ricevuto dallo Stato, sono arrivate al capolinea? Forse che sempre queste persone (perché dietro alle aziende queste ci sono) che hanno deciso di investire a casa loro, per la loro gente, inseguendo un’idea di sviluppo, una prospettiva di vita, si saranno stancate di essere viste dallo Stato come un limone da spremere o soprammobili da esibire solamente quando fa comodo vantarsi delle eccellenze italiane? Sicuramente c’è un problema sanitario, sicuramente c’è e ci sarà un problema economico che rischia di rivoluzionare completamente il nostro sistema produttivo e sociale. Gli imprenditori sono per natura i primi a saper elaborare strategie nuove dai momenti di crisi, per evolvere e affrontare il cambiamento, affrontando il futuro quasi col pugnale tra i denti, affidandosi ad una pianificazione innovativa, ad una interpretazione rivoluzionaria, ad un approccio che possa proiettarli nel progresso imminente sempre con la responsabilità tutta sulle loro spalle. Questo non è però un semplice “momentaccio”, rischiamo la desertificazione morale ed industriale, rischiamo che quelle energie da cui i nostri padri e nonni attinsero per ricostruire questo Paese dopo la guerra, dopo le crisi, e cui i loro figli e nipoti hanno continuato ad attingere dopo le norme sempre più stringenti e una pressione fiscale surreale, si esauriscano. È un reato quindi ammettere che c’è la necessità di far ripartire un sistema? Ci si vuole nascondere dietro il solito velo di ipocrisia come nel caso dei cittadini che vanno a far compere creando assembramenti nel momento in cui non solo si permette loro di farlo ma anzi si incoraggiano gli acquisti? Qualcuno dice che ci vuole responsabilità, poco importa se negozi chiudono, imprenditori e partite iva vedono bruciare guadagni e investimenti, ma io questa lettura non la accetto. Mi si faccia il favore quindi di risparmiarmi i moralismi su questa responsabilità individuale perché non è questo il tema. Qui si tratta di pretendere risposte da chi dovrebbe essere degno di guidare uno Stato come il nostro. Altri Paesi di risposte ne hanno date, anche laddove sono state imposte norme anti Covid draconiane infatti queste sono state accompagnate da misure coerenti e strutturate di sostegno alle classi lavoratrici e imprenditoriali; in Italia questo non è accaduto e non accade, in Italia ci viene detto implicitamente che non si possono salvare capra e cavoli, che dobbiamo scegliere, consentitemi l’iperbole, tra il pane e la salute, per poi però assegnare solo miseri 9 miliardi alla sanità nel Recovery Plan su 196 disponibili. Seriamente c’è ancora qualcuno che non comprende il senso delle parole di Guzzini? Seriamente c’è ancora qualcuno che si ferma alla superficie di un’espressione evidentemente figlia dell’esasperazione di tutto il settore del lavoro libero? Siamo in un Paese paradossale in cui la stampa, il bel pensiero, i cosiddetti “buoni”, gli intoccabili dal moralismo ma sempre pronti a fare la morale, non si scandalizzano per le autopsie di fatto negate, non protestano per mesi e mesi di manifesta incompetenza e approssimazione nella gestione della pandemia, non si interrogano sulle storture di un governo allo sbando, sulle ombre che incombono sulla tenuta democratica e costituzionale della nostra bistrattata Repubblica ma sono in prima fila, vestiti di stracci e pietre in mano, a mettere in croce un uomo che ha detto, seppur in un modo assolutamente fuori luogo, nient’altro che la verità.
Nel mentre scrivevo queste righe però, è successo. I buoni coi loro stracci e le loro pietre hanno vinto, Guzzini si è dimesso. Ora l’ordine è ristabilito, il “cattivo” di turno, che aveva l’aggravante imperdonabile di essere un industriale, è stato abbattuto, possiamo ritornare a elemosinare un posto di lavoro, a collezionare dpcm, a cercare di capire se potremo vivere il Natale con i nostri cari o se dovremo lasciare i nostri nonni soli come cani, ad aspettare come sudditi fedeli le parole e le vuote promesse di un piccolo personaggio che da mesi, con la sua cricca di poltronari scappati di casa, e i suoi ultras, tiene in ostaggio un intero popolo. Senza prospettive di vita, senza lavoro, senza Natale, in poche parole: senza futuro.
Gioite, “buoni”, avete vinto, ancora.