Le elezioni americane, che ancora avranno molto da dire tra ricorsi alla Corte suprema e quant’altro, potrebbero comunque decretare la sconfitta dei Repubblicani e di Donald Trump. Per quanto la retorica legata ai BLM, al razzismo e alle peggiori nefandezze di cui il Tycoon era stato accusato si sia rivelata non solo infondata ma controproducente – basti pensare ai festeggiamenti dei cubani in Florida, all’aumento dei voti di Trump tra i latinos, alla crescita di Trump anche nella popolazione femminile e afroamericana – va detto che probabilmente il martellamento mediatico ha prodotto il suo effetto di far spostare l’elettore medio da Trump a Biden, bocciando la politica del Presidente nell’anno della pandemia mondiale.
Per chiunque creda nella necessità, oggi più che mai, di un Occidente forte che sappia tenere testa alla Cina, la vittoria di Biden non può che suonare come un campanello d’allarme, se non come una vera e propria campana a morto: “Joe” non ha infatti né il carisma né una classe politica a circondarlo né tantomeno la benché minima intenzione di tenere testa agli amici cinesi, anzi, la dichiarazione di rientrare subito negli Accordi di Parigi per combattere l’emergenza climatica fa pensare che nei prossimi 4 anni assisteremo nuovamente a quella retorica obamiana pro-clima, liberal, simil-socialista che tanto piace ai commentatori nostrani ma che poi nella praticità ha solo l’effetto di rafforzare Paesi che non credono minimamente nella Libertà tanto decantata.
Volendo essere positivi – anche se in tempo di Covid forse è meglio evitare questo aggettivo – bisogna scorgere, anche nel disastro, un’opportunità. E l’opportunità stavolta si chiama Europa. Da circa settant’anni, infatti, il cuore dell’Occidente è stato sempre collocato nel grande Paese che va da New York a Los Angeles. Non poteva essere altrimenti, d’altronde: negli anni ’50 mezza Europa era sotto il giogo sovietico e l’altra metà stava iniziando a leccarsi le ferite dopo una guerra lacerante che aveva lasciato morte, distruzione e sistemi politici da ricostruire integralmente. Solo il Regno Unito, vuoi per il suo “isolazionismo dorato”, vuoi perché più affine ad avere un peso internazionale di rilievo, è riuscito a tenere testa agli Stati Uniti, trovando poi una felice cooperazione negli anni ’80, quando Reagan e la Thatcher portarono l’Occidente alla definitiva vittoria sul comunismo sovietico.
Oggi l’Europa ha molti problemi: il Vecchio Continente sta diventando non solo Vecchio ma anche spopolato, il grande progetto dell’Unione Europea sorto dai piani di gente come Adenauer, De Gasperi e Schuman sembra stia implodendo, la crisi economica e sanitaria non ci ha risparmiato e le tensioni legate alla Brexit, in fase pandemica, provocheranno ancora scontri politici e rimbalzi economici negativi. Però c’è un però.
Il però sta nel fatto che, con la perdita di una leadership forte in America, qualcuno dovrà pur prendere il posto da leader. O quantomeno dovrà provare a farlo. E l’Europa è il “player” naturale in questo gioco geopolitico: il patrimonio culturale, politico, economico che giace sopito nella cara vecchia Europa è ancora importante e imponente, in materia socio-sanitaria questo è probabilmente il continente più avanzato del mondo, le basi della pluralità di pensieri filosofici e politici che animano il mondo affondano le proprie radici nella cultura europea, le situazioni particolari che i grandi paesi di questo continente affrontano rappresentano sfide che interessano tutti i governanti del mondo.
Questo è il continente che ha esportato il cristianesimo in tutto il mondo, che ha introdotto per primo le grandi invenzioni che hanno portato il pianeta a diventare quello che è oggi, che ha influenzato linguisticamente e politicamente – la democrazia liberale americana trae spunto per metà dal parlamentarismo britannico e per metà dalle idee illuministe francesi prima della deriva giacobina – l’Occidente.
Prendiamo questi lunghi 70 anni come una “pausa di riflessione”, un momento per ricostituire la “Nostra Europa” e per prendere lo slancio per volare alla guida del mondo libero contro quei due nemici della Libertà che oggi sembrano sempre più forti e agguerriti.
Qualche scettico potrà dire che questo è un bel sogno, ma poi serve la realtà. “Chi guida?”. Chi scrive non pensa che si possa individuare una persona, gli esempi potrebbero essere molteplici: serve un Nigel Farage che distrugga a picconate l’UE burocratica e opprimente per poi ritirarsi in campagna come Cincinnato una volta svolto il suo compito? Serve un Boris Johnson che, con attenzione e rispetto di tutte le culture che albergano in Europa, rimarchi un certo “sovranismo”? Serve un Emmanuel Macron che, senza peli sulla lingua, parli di “terrorismo islamico” e si proponga in modo del tutto “gollista” per sostenere la Grandeur del proprio Paese all’interno di un continente che ha un pedigree che nessun altro ha? Serve un Manfred Weber, che sappia conciliare il tradizionalismo cattolico con le necessarie aperture a un mondo nuovo che cambia nei valori? Serve un Sebastian Kurz che, con austero e motivato orgoglio, sia conservatore in temi sociali, duro con l’immigrazione irregolare, aperto alle nuove culture e chiuso alle imposizioni globaliste?
Probabilmente non serve nessuno di questi, ma una fusione di tutte queste caratteristiche. Capendo che questo è il momento in cui si deve decidere da quale parte del campo giocare: da un lato c’è l’oppressione, la sottomissione, la distruzione della storia e della cultura, la disgregazione dei valori; dall’altro c’è la Libertà, la Tradizione, l’Integrazione (positiva, che non è la “tolleranza” ma la capacità di interessarsi a un mondo diverso dal proprio) e la Crescita, ben diversa dal “progresso” giacobino che vuole la dittatura delle minoranze sulle maggioranze, invece che un giusto e doveroso riconoscimento delle minoranze da parte delle maggioranze.
Ora è il momento dell’Europa, ora bisogna decidere cosa si deve essere. Non reazionari, ma valoriali. Non euroscettici, ma eurocritici. Non secessionisti, ma federalisti. Non progressisti, ma liberali. Non chiusi al nuovo, ma consapevoli del vecchio. Se sapremo essere conservatori al punto giusto e se capiremo che il bene più prezioso da conservare oggi è proprio il destino della nostra Europa, allora potremo urlare in faccia ai nostri nemici due parole chiare: “Non prevalebunt”