Non lontano da Belmonte Piceno, ridente paesino del fermano con una storia che risale al tempo dei piceni, sorge isolato su una collinetta a 263 slm un edificio a dir poco originale: si tratta della chiesetta di Santa Maria in muris, popolarmente conosciuta come San Simone. Siamo di fronte ad un raro esempio di costruzione preromanica nel territorio delle Marche sorto su un preesistente sito d’epoca romana risalente al primo secolo a. C. Alcuni indizi fanno pensare che ivi sorgesse un’edicola funeraria del tipo che i romani usavano per custodire le urne contenenti le ceneri dei famigliari defunti: nella facciata della chiesa, a sinistra dell’arco d’ingresso, è infatti incastonata una pietra facente parte di un’urna cineraria cosiddetta a tabernacolo, che reca un’epigrafe la quale c’informa che l’edicola era stata edificata in vita, da tale Florio Ottato per se e per la consorte Rufria Prima. In pratica Florio, che doveva probabilmente essere un veterano dell’esercito romano al quale furono assegnate in premio terre in questa zona, si era assicurato un posto per l’eternità, come facciamo noi edificando le tombe di famiglia nei nostri cimiteri. Fu su queste mura che verosimilmente fu adattata una prima chiesina a seguito dell’editto di Milano (386) col quale l’imperatore Flavio Teodosio Augusto, l’ultimo a regnare su un impero romano unito, stabiliva che i siti cultuali pagani fossero sostituiti da quelli cristiani. Forse un tempio più importante fu eretto dai longobardi, poiché alcune pietre di recupero ancora visibili nelle mura della chiesa, sono ascrivibili all’arte tipica di questo popolo. Fu una tale Albasia, madre del conte Silvestro di estrazione franca, padrone dei luoghi a donare la collinetta e probabilmente anche un po’ delle terre circostanti, ai monaci benedettini di Farfa perché fosse ampliata e abbellita la chiesa che fu completata nel 967 mentre nei terreni adiacenti, i monaci piantavano viti e olivi. Inizialmente vi si stabilì un monaco proveniente da Santa Vittoria in Matenano poiché lì si erano trasferiti i benedettini da Farfa quando l’abbazia fu incendiata dai saraceni. A seguito dello scisma provocato nel 1159 da Federico Barbarossa, ci fu molta confusione nell’amministrazione dei beni ecclesiastici e neanche alla chiesina di Santa Maria in muris furono risparmiate queste vertenze. Nel XIII secolo, furono costruiti nelle vicinanze della chiesa, locali per accogliere ospiti e pellegrini, un’infermeria e una scuola dove i monaci insegnavano ai ragazzi della contrada a leggere, scrivere e far di conto. Tuttavia i continui contrasti tra guelfi e ghibellini crearono nuove controversie fintanto che nel 1221 un tribunale riconobbe legittima la nomina dei cappellani da parte del priore benedettino di Santa Vittoria in Matenano. Quando poi alcuni signori locali donarono porzioni delle loro terre per il mantenimento del cappellano, la nomina di quest’ultimo passò nelle loro mani per “diritto di patronato”. Nel 1632 la chiesa finì sotto il controllo del capitolo fermano che ne cambiò il nome in Santa Maria Bambina, o Santa Maria Piccinina o Ciuccarella poi San Simone, nome col quale è attualmente conosciuta. Nel 1860 i Savoia la dichiararono bene del demanio e la vendettero con i terreni adiacenti a un tale Severino Squarcia che a sua volta la cedette a suo nipote Francesco. Durante la seconda guerra mondiale, Santa, figlia di Francesco Squarcia, morì e il padre la seppellì in un ipogeo appositamente scavato sotto il pavimento della chiesetta per poi essere traslata in tempi più recenti in una cappellina al cimitero. Da allora, Santa Maria in muris è proprietà del comune di Belmonte Piceno.
Isolata sulla sua collinetta, in una posizione panoramica e strategica, la costruzione colpisce per la sua rara originalità architettonica. Il “clocher-porche” e cioè la torre inclusa al centro della facciata è caratteristica dello stile longobardo e la ritroviamo, ad esempio, anche nella chiesa di San Marco a Ponzano di Fermo e nella basilica di San Lorenzo in Doliolo a San Severino Marche. Aveva la duplice funzione di campanile e piattaforma di vedetta per avvistare eventuali pericoli, come i pirati saraceni, e fare segnalazioni col fumo di giorno e con la luce di un fuoco di notte come si usava nel medioevo. L’entrata è piuttosto originale: una sorta di arco prolungato forma un breve tunnel confluente in un piccolo ma delizioso criptoportico che si sviluppa brevemente con due archetti ad angolo retto sulla destra e altrettanti a sinistra dell’ingresso, un’altra rarità architettonica. L’interno è a navata unica con monofore originali e imposte dell’antica copertura a botte (oggi a capriate). Gli antichi affreschi sono praticamente spariti e sussistono oggi pochi frammenti inintelligibili. L’unico dipinto presente è una pala d’altare di recente fattura riferibile ad Antonio Liozzi. Un’annotazione finale: raramente mi è capitato di vedere un luogo tenuto così bene, pulito e curatissimo. E’ palpabile l’amore e il rispetto dei belmontesi per la loro splendida chiesetta. Quindi non perdete l’occasione di visitare questa testimonianza di stile altomedievale rara per la sua integrità, dato che è stata poco rimaneggiata. Un’opera affascinante di antica e originale bellezza, una perla luminosa nello scrigno dei tesori marchigiani.